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Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: Re: Il principio della neutralità finanziaria
MessaggioInviato: 05/04/2009, 9:08 
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androcom ha scritto:
Questo principio, che deve essere dimostrato, dice quanto segue:

1.] la ricchezza può provenire solo dall’economia reale [industria, servizi (non finanziari), agricoltura];
2.] la ricchezza non può mai provenire dalla finanza;
3.] conseguentemente, ogni ricchezza che proviene dalla finanza, danneggia l’economia reale ed è una sottrazione di ricchezza ai cittadini.

Ma sei sicuro?
Senza soldi e senza investimenti, come fanno l'industria, i servizi, l'agricoltura a funzionare?
A mia o avviso la tua impostazione è indietro di 100 o 20 anni, al vecchio conflitot tra capitale e lavoro.
La finanza (i servizi finanziari) produce essa stessa valore aggiunto. Quando uno compra una casa o chiede un prestito per costruire un capannone industriale, comprare un cammion, se ne rende conto da solo.
Sono servizi indispensabili, quindi vanno retribuiti e rimunerati.
Producono ricchezza.

Francesco

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 Oggetto del messaggio: Re: La causa principale dell’inflazione
MessaggioInviato: 05/04/2009, 9:13 
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androcom ha scritto:
La causa principale dell’inflazione dovrebbe essere il risparmio. Infatti:

1.] esso dà luogo al moltiplicatore dei depositi;
2.] questo genera virtualmente mggiore moneta;
3.] conseguentemente, è come se le banche stampassero moneta, ciò che genera inflazione.

Ma sei sicuro?
Guarda che i depositi ed il risparmio non sottraggono e non moltiplicano moneta.
Credo che ti sfugga il concetot di moneta fisica e di moneta scritturale.
Tra l'altro i paesi con i maggiori depositi sono anche quelli con la minore inflazione.

Francesco

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 Oggetto del messaggio: Re: L`industria: passato o futuro della nostra economia?
MessaggioInviato: 05/04/2009, 17:10 
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L’osservazione di Francesco mi permette di chiarire che cosa ho inteso dire:

1.] l’investimento può non essere interpretato come una attività finanziaria, ma industriale, se esso non riguarda partecipazioni, ma capannoni e impianti, cioè scambi finalizzati all’economia reale.
2.] la ricchezza dovrebbe provenire solo dal lavoro, cioè dalla fatica.
3.] prestare danaro non costa fatica.
4.] anche se fosse un favore che merita riconoscenza, non è questo che ho inteso dire. Ho inteso dire che l’economia necessita di scambi reali [danaro contro fatica], per cui pretendere più danaro di quello che si è imprestato e che è stato investito, crea scompensazioni sistemiche di tipo economico, non in senso morale, ma nel senso del funzionamento generale del sistema economico.
5.] comprare una casa appartiene all’economia reale [casa in cambio di danaro, danaro in cambio di lavoro]. Ma prestare danaro non comporta fatica [lavoro], e quindi non dovrebbe essere rimunerato. Certo, anche il servizio bancario costa perché è lavoro, ma esso non giustifica l’interesse sul mutuo, questo è richiesto non per pagare i dipendenti della banca, ma per lucrare sul prestito, “gratuitamente”.
6.] ricordo il prof. Brugnoli della Bocconi che riportava una sua discussione con Romiti, ex presidente FIAT: per questo ultimo, come riportano i bilanci, il lavoro è un costo [debiti per retribuzioni nella voce passivo dello stato patrimoniale, e costo retribuzioni nel conto economico]. Per Brugnoli, invece, il lavoro è un fine, e non dovrebbe essere messo in bilancio tra i costi e i debiti, ma essere trattato come la voce “utile” e quella del “capitale sociale” [parte del patrimonio netto].
7.] il capitalismo è un episodio della storia, che ha portato progresso e benessere, ma è solo un episodio, a cui non è forse moralmente corretto troppo attaccamento, e può essere storicamente superato. Deve essere possibile retribuire l’uomo per il suo lavoro, dare a ogni uomo un lavoro, consentire a ogni uomo di studiare, fermo rrestando che dovranno esserci sempre, forse, dei baristi, commessi, operai, ecc..

Riguardo alla seconda osservazione, mi sono già corretto, perchè il deposito viene comunque reinvestito e quindi la moneta rientra in circolo.


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 Oggetto del messaggio: Re: L`industria: passato o futuro della nostra economia?
MessaggioInviato: 05/04/2009, 22:14 
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Iscritto il: 14/02/2009, 11:44
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androcom ha scritto:
L’osservazione di Francesco mi permette di chiarire che cosa ho inteso dire:

1.] l’investimento può non essere interpretato come una attività finanziaria, ma industriale, se esso non riguarda partecipazioni, ma capannoni e impianti, cioè scambi finalizzati all’economia reale.
2.] la ricchezza dovrebbe provenire solo dal lavoro, cioè dalla fatica.
3.] prestare danaro non costa fatica.
4.] anche se fosse un favore che merita riconoscenza, non è questo che ho inteso dire. Ho inteso dire che l’economia necessita di scambi reali [danaro contro fatica], per cui pretendere più danaro di quello che si è imprestato e che è stato investito, crea scompensazioni sistemiche di tipo economico, non in senso morale, ma nel senso del funzionamento generale del sistema economico.

Chiariamoci un attimo.
Se io avessi (magari... ;) ) un miliardo, potrei fare la mia azienda e guadagnare.
Tuttavia potrei non essere un buon industriale e perdere tutto.
Non siamo tutti uguali. Ci sono bravi imprenditori e pessimi imprenditori.
A volte pessimi imprenditori pero' sono bravi lo stesso a gestire i loro soldi.
Molto meglio quindi per loro prestare i soldi a chi non ne ha, perché faccia impresa.
Impresa poi non vuol dire fatica (nemmeno in fisica lavoro vuol dire fatica) ma vuol dire fare qualche cosa di utile.
Se io prendo una tonnellata e la sposto di 20 metri piu' in alto, e poi cambio idea e la riporto dove era, di fatica ne ho fatta parecchia ma di lavoro .... nulla.

Se io invece presto un miliardo a chi fa vero lavoro (ma non ha il miliardo) non lo faccio certo per fargli un favore e quindi parte del suo utile andrà a me.
Il concetto di fatica è sbagliato. In impresa, con gli investimenti, conta il concetto di rischio.
Se io presto un miliardo, rischio. Rischio di perderlo. Non solo rischio di perdere il guadagno ma il capitale.

Francesco

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 Oggetto del messaggio: Una possibile riforma nell’economia
MessaggioInviato: 06/04/2009, 20:48 
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Iscritto il: 04/02/2009, 15:47
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Cercherò di spiegare meglio quello che ho in mente. Un operaio lavora e guadagna, produce un pezzo, che viene venduto. Il ricavo va anche nel suo salario. L’insegnante lavora per certe ore, e così il poliziotto. Ma il loro stipendio proviene dal debito pubblico. Perché ? Perché sono servizi che non producono pezzi materiali che vengono scambiati per ottenere vendite e ricavi. Lo stipendio dell’insegnante e del poliziotto è fatto di moneta stampata: o debito pubblico o inflazione. L’operaio di impresa privata invece produce un bene materiale che viene scambiato a fronte di un ricavo e così di un guadagno concreto. Io prospetto un’economia in cui tutti gli stipendi, sia pubblici che privati, sino come quelli dell’insegnante e del poliziotto. La paga deve essere potere e diritto reali di acquisto. A fronte della paga devono esserci sempre dei beni che possono essere acquistati. Lo stato e i privati pagano in potere d’acquisto, senza inflazione. Non deve esserci più il meccanismo per cui il prezzo dipende dall’incrocio tra offerta e domanda. Posti i bisogni e i poteri/diritti d’acquisto, dati dal lavoro [domanda], deve esserci sempre una esatta corrispondenza di offerta, che possa coprire interamente la domanda. Deve esserci una estatta e precisa corrispondenza tra domanda e offerta, offerta che deve essere imposta per legge secondo una precisa pianificazione dell’economia. La produzione [offerta] non può essere libera. Libera sarà la concorrenza tra diverse offerte per stabilire quale meriti di poter soddisfare la domanda [senza però sprechi e doppioni]. Il prezzo deve essere quello a cui può accedere il potere d’acquisto. Il merito nel lavoro ottiene maggiori vantaggi di acquisto e migliori posizioni lavorative.


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 Oggetto del messaggio: Re: Una possibile riforma nell’economia
MessaggioInviato: 06/04/2009, 21:36 
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Iscritto il: 14/02/2009, 11:44
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androcom ha scritto:
Cercherò di spiegare meglio quello che ho in mente. Un operaio lavora e guadagna, produce un pezzo, che viene venduto. Il ricavo va anche nel suo salario. L’insegnante lavora per certe ore, e così il poliziotto. Ma il loro stipendio proviene dal debito pubblico. Perché ? Perché sono servizi che non producono pezzi materiali che vengono scambiati per ottenere vendite e ricavi. Lo stipendio dell’insegnante e del poliziotto è fatto di moneta stampata: o debito pubblico o inflazione

Con tutto il rispetto possibile, la tua impostazione è enormmeente sbagliata.
E' una visione operaista per cui solo l'operaio produce guadagno ed il resto delle professioni sono parassiti del debito. In realtà quello che funziona è il sistema sociale e questo non funziona senza insegnanti e senza poliziotti, senza dottori, senza avvocati, senza farmacisti, ignegneri e geometri. Pubblici o privati che siano. Ovviamente non funziona nemmeno senza contadini, operai, idraulici, falegnami, carrozzieri, macchinisti e piloti. le professioni oggi sono un migliaio e sono tutte utili. Da chi fa computer a chi fa programmi, da chi li vende a chi insegna ad usarli.
Cita:
Deve esserci una estatta e precisa corrispondenza tra domanda e offerta, offerta che deve essere imposta per legge secondo una precisa pianificazione dell’economia. La produzione [offerta] non può essere libera.

Scusa ma qualche centinaio di milioni di morti avuti nel secolo scorso cercando di realizzare quello che stai dicendo non sono bastati? Posso capire che 100 anni fa qualcuno si facesse incantare da queste utopie ma oggi dovremmo aver imparato che la libertà viene prima di tutto, altrimenti tu stesso non potresti dire quello che stai dicendo oppure io non potrei replicare.

Libertà politica, civile ed economica sono fondamentali, anche a costo di qualche sotto ottimizzazione, anche perché poi in realtà il sistema che auspichi (ingabbiare la produzione) si è dimostrato che non funziona e produce solo miseria.

Francesco

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 Oggetto del messaggio: L`industria: passato o futuro della nostra economia?
MessaggioInviato: 06/04/2009, 22:00 
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Riguardo alle professioni, ho inteso dire quello che dice Francesco [sono fondamentali]. Io intendevo sottolineare l’aspetto tecnico-economico, per correggerlo, allo scopo di portare l’economia operaista verso l’economia professionale. L’operaio non costa debito, perché produce un bene che viene scambiato. L’avvocato produce un serivizio che viene scambiato, e così l’insegnante [con le imposte]. In tutti casi, il lavoro produce reddito per se stesso, servizio per gli altri [nel caso dell’operaio, servizio incorportato nel bene, servizio in senso lato], scambio tra servizio/lavoro/bene e reddito guadagnato, offerto per ottenere il bene o servizio. Ma allora perché la macchina statale è in debito ? Perché essa spende più di guadagnare con i tributi. E cosa significa che spende ? Significa che paga stipendi e pensioni. E perché essi sono un debito ? Questo è il punto. Stipendi pubblici oltre le imposte e pensioni devono essere poteri di acquisto, diritti ad acquisire, non debito. Questo è il punto fondamentale. Se la pensione con il sistema retributivo crea debito, significa che essa è stampaggio di moneta fattosi debito per non farsi inflazione, cioè per non scaricarsi sulla comunità con la perdita del potere d’acquisto della moneta di tutti. Ma perché invece lo stato non può stampare moneta attribuendo potere d’acquisto SENZA INFLAZIONE ? La risposta sta nel rapporto tra domanda e offerta di mercato. Io non voglio imprigionare la libertà, di cui io stesso ho usufruito. Guai all’uomo che toglie la libertà agli uomini ! Io intenderei inquadrare il mercato all’interno di regole che direzionino la libertà verso un fine sociale e comune, che possa corrispondere al benessere di tutti, senza togliere il protagonismo, la volontà di arricchirsi e di autodeterminazione dei privati. Quello che nei miei studi di economia mi ha impressionato è la grossolanità antisociale di questo rapporto tra domanda e offerta: esso stabilisce un prezzo, e chi non ha i soldi per pagarlo sta sotto la qualtità di equilibrio, cioè può morire di fame. Io proporrei invece che la domanda sia il riflesso [domanda gerarchizzata] del potere d’acquisto della società [dai ricchi ai meno ricchi], e l’offerta sia la frontiera dei beni capaci di soddisfare la domanda stratificata per ogni livello di reddito disponibile. La domanda, nella sua gerarchia, riflette la stratificazione sociale [ricchi e meno ricchi], e l’offerta la corriponde, con differenti livelli di prezzo, ciascuno per le quantità a cui ognuno può arrivare. Diversamente c’è un unico prezzo, rispetto a cui i poveri muoiono di fame [perché non lo raggiungono] e i ricchi sono nel superfluo, perché lo sopravanzano.


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 Oggetto del messaggio: Considerazioni sull’economia politica
MessaggioInviato: 08/04/2009, 16:48 
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Una critica all’impostazione generale dell’economia politica può essere di tipo filosofico, e riguardare i suoi fondamenti: le leggi della domanda e dell’offerta. Se ne espone qui un tentativo:

1.] la domanda aggregata o collettiva, nella concezione classica, è data dalla sommatoria delle singole domande individuali. In questo modo, la domanda aggregata può perdere una importante informazione, e cioè la domanda individuale corrispondente al minimo standard di sopravvivenza. La domanda dei ricchi, avendo essi altre possibilità e preferenze rispetto ai poveri, innalza il livello di quello che sarà, con l’incrocio con l’offerta, il prezzo di equilibrio, al di sotto del quale i poveri potrebbero non sopravvivere, se la domanda riguarda un bene essenziale [primario]. Perciò la domanda aggregata deve essere sostituita da un unica domanda standard, che corrisponda ai bisogni differenziati, in base alla scala di maslow, e che rifletta il minimo indispensabile [raggiungibile dal più povero individuo], per ciascun prezzo e prodotto.
2.] non è vero, come sostiene la concezione classica, che un basso prezzo comporta un alto quantitativo richiesto del bene [quantità]. La capacità di pagare il prezzo è legata al reddito disponibile, la cui spesa non dipende dal prezzo, ma dal paniere di beni. In esso, la domanda si distribuirà, in modo standard, per tutti gli individui, indipendentemente dal prezzo, secondo la scala di maslow: prima sarà speso reddito per i beni essenziali, poi per i beni superflui. Tanto più basso è il prezzo dei primi, non maggiore sarà la loro accumulazione, ma consentirà, questo prezzo basso, di impiegare il reddito residuo spostandosi verso l’acquisto di beni superflui. Il basso prezzo di questi non comporterà, ancora, una loro sempre maggiore acquisizione, ma fino a un dato livello [soggettivo entro certi limiti], oltre al quale livello di spesa [soddisfatti gli acquisti primari e secondari] inizierà il risparmio. Per cui non è vero che la quantità varia in relazione al prezzo. La curva della domanda individuale e aggregata deve essere interpretata come la quantità di beni domandata in relazione alla loro funzione, dal punto di vista della scala di maslow. Essa è quindi vera ad ogni livello di quantità. Si passa dalla quantità maggiore per un prezzo inferiore, legata ai beni primari e di bassa qualità, alla quantità minore per un prezzo maggiore, legata ai beni superflui e di alta qualità. La curva della domanda forma quindi una matrice.
3.] il punto di incontro/equilibrio tra domanda e offerta può, come detto, comportare un prezzo più alto della soglia di sopravvivenza/capacità di spesa per beni primari, di cui alcuni individui dispongono. Ciò significa che la domanda aggregata deve essere sostituita con la domanda standard, gerarchizzata e scomposta nel paniere dei beni, in relazione alla scala di maslow. Sull’ordinata, la differenza tra i prezzi può essere interpretata non come libertà di oscillazione del prezzo, ma come differenza dei prezzi dei singoli prodotti del paniere [dal pane, con basso prezzo e alta quantità, al televisore, con alto prezzo e bassa quantità], e come differenza nella qualità dei beni appartenenti alla medesima categoria [alto prezzo per televisori, o pasta, o latte, di alta qualità, e basso prezzo per la bassa qualità, e la quantità dei beni di bassa qualità, con basso prezzo, è maggiore, secondo la curva della domanda-standard]. Da questo punto di vista, tutta la quantità e tutti i prezzi sono “attivi”, e la curva della domanda diventa la frontiera di tutti i bisogni economici della collettività.
4.] si passa quindi da concetto di domanda intesa come quantità da acquisire in funzione del prezzo, al concetto di domanda-standard, intesa come quantità minima a cui l’offerta deve adeguarsi per legge, ad un prezzo stabilito per legge, questo solo per i beni primari di bassa qualità. Ne consegue che, dovendo l’offerta sovrapporsi perfettamente alla domanda [e non incrociarsi con essa], la concorrenza nel mercato tra le imprese deve essere interpretata come simulazione del sistema economico, finalizzata a determinare la migliore offerta che si avvicini al prezzo stabilito dalla domanda e dalla legge. Infatti, la concorrenza non può consistere in uno spreco di risorse [come oggi], in cui due beni competono, uno vince e l’altro non viene venduto, e l’impresa che ha prodotto il bene invenduto fallisce. La concorrenza deve stare a priori dello scambio, per stabilire quale impresa ha diritto a produrre per la domanda, la quale è fissa. Il mercato diventa quindi simulazione del sistema economico.
5.] la curva dell’offerta non è capovolta rispetto alla curva della domanda, ma è parallela e sovrapposta ad essa. Poiché la domanda riflette i bisogni, la curva dell’offerta deve corrispondervi perfettamente. La curva dell’offerta classica [capovolta rispetto alla domanda e incrociantesi con essa], è quella della libertà d’impresa, e serve per descrivere il comportamento dell’impresa e del mercato dal lato dell’offerta, non in senso reale, ma secondo la simulazione del comportamento dell’impresa in competizione con le altre imprese. La concorrenza simulata tra le imprese serve per stabilire l’impresa che può potenzialmente produrre con la maggiore qualità e al minore prezzo, provati attraverso giochi economici e simulazioni di produzione, e che pertanto acquisisce il diritto a produrre realmente il bene per soddisfare la domanda.


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 Oggetto del messaggio: La costruzione scientifica del sistema economico
MessaggioInviato: 09/04/2009, 20:23 
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Iscritto il: 04/02/2009, 15:47
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1.] l’uomo è un essere complesso, ma anche un poco semplice. Dal punto di vista politico, si chiama cittadino. Come tale esprime determinati bisogni. Dal punto di vista economico, si chiama consumatore, lavoratore e imprenditore. Come tale, gli sono attribuiti altri bisogni. Attribuzione nel senso di categoria. Nel primo caso si hanno ad esempio i diritti politici. Nel senso caso cambia il linguaggio, che diventa economico.
2.] l’uomo esprime i seguenti bisogni economici:

a.] cibo e altri bisogni essenziali, o primari.
b.] bevande, e altri bisogni essenziali, o primari.
c.] vari bisogni secondari [superflui], tra cui quelli che soddisfano il tempo libero [computer e internet, televisione, dvd, stereo, biglietti per il cinema, sport, ecc.].
d.] vestiti [altri bisogni primari].
e.] la casa, di proprietà o in affitto [bisogno primario].
f.] bisogni psicologici [non solo superflui, ma anche primari].

3.] i bisogni psicologici espressi in senso economico sono caratterizzati dal fatto che essi non sono del tutto economici, ma sono legati al senso della vita, e questo è un fondamentale elemento per la costruzione del sistema economico. Essi possono essere:

a.] spirito imprenditoriale.
b.] desiderio di libertà e di autodeterminazione nel lavoro e nell’iniziativa imprenditoriale.
c.] desiderio di [accumulo di] ricchezza.
d.] desiderio di protagonismo.
e.] desiderio di rischio e di competizione.

4.] i bisogni di cui al punto 2.] possono costituire un paniere complesso di beni di tipo standard: ogni uomo vuole una casa, uno o più televisori, ecc. Questo paniere di beni è un diritto fondamentale.
5.] a prescindere, quindi, dal senso tradizionale del concetto di domanda aggregata, si deve definire il concetto scientifico di domanda aggregata come la sommatoria, per il numero della popolazione mondiale [circa 7 miliardi di essere umani], di questo paniere di beni [= domanda standard gerarchizzata secondo la scala di maslow]. Cioè: devono essere prodotti un minimo di 7 miliardi di televisori, 7 miliari di case, 7 miliari di computer, ecc.
6.] l’offerta della produzione industriale e di servizi deve, corrispondentemente, corrispondere in modo perfetto a questa domanda: le imprese devono soddisfare la domanda aggregata standard, espressione dei bisogni fondamentali dell’uomo e di tutti gli uomini.
7.] a questo punto si inserisce in problema della ricchezza e del lavoro [libertà], cioè il punto 3.], che corrisponde non al paniere di beni, ma alla parte alta [psicologica] della scala di maslow, la cui determianzione è anche politica. Questo significa che il mondo industriale [imprenditori e lavoratori] devono poter competere ed essere liberi, per produrre questa quantità standard di beni, differenziata, naturalmente, in base alla quantità del beni superflui e alla qualità sia dei beni essenziali sia dei beni superflui.


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 Oggetto del messaggio: Il paradosso del reddito
MessaggioInviato: 09/04/2009, 21:33 
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Iscritto il: 04/02/2009, 15:47
Messaggi: 57
Nell’intervento precedente si è quasi inteso che la produzione, siccome deve soddisfare bisogni fondamentali, che sono bisogni di beni economici, debba essere gratis. Ciò non è naturalmente corretto. I beni sono acquisiti col reddito. Le imprese producono il paniere di beni e danno ai lavoratori un reddito, il reddito acquista il paniere di beni. Considerando la produzione mondiale e il reddito totale di tutti i lavoratori a livello mondiale, dovrebbe valere la seguente relazione:

R [reddito] = CP [costo della produzione] + PF [profitto = mark-up] + RI [risparmio],

nel senso che il reddito del lavoratore paga un prezzo PZ [= CP + PF], che è dato dal costo del lavoro, delle macchine e del capitale, proprio e di debito, e deve anche rimanere una parte di reddito per il risparmio del lavoratore.
Quindi:

R = PZ + RI
PZ = CP + PF
R = CP + PF + RI

Il reddito del lavoratore deve pagare il prezzo e deve anche accumularsi come risparmio per la parte rimanente rispetto al prezzo. Il prezzo del prodotto remunera il lavoro, le macchine e il capitale.
Il paradosso del reddito è il seguente:

1.] in genere, il reddito, come frutto del lavoro, è una parte del costo del prodotto, e quindi il prezzo è maggiore del reddito. Ma se il prezzo è maggiore del reddito, che è un costo, come fa il reddito ad acquisire il prodotto, cioè a raggiunere e a sopravanzare il suo prezzo ?
2.] inoltre, in genere il profitto, contenuto nel prezzo, è maggiore del reddito, perché l’imprenditore è più ricco del lavoratore. Ma allora come fa il reddito ad essere maggiore del profitto, per remunerarlo, pagando il prezzo ? Questo secondo paradosso si spiega col fatto che il profitto totale del sistema economico si distribuisce per un numero di soggetti, azionisti e imprenditori, che è minore del numero dei lavoratori. Per questo il reddito totale [gli stipendi di tutti i lavoratori del mondo] è certamente superiore alla somma dei profitti totali, e per questo può remunerarli.


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